Parma, 16 maggio 2023 – Cosa permette a due specie distinte di farfalle, separate da 12 milioni di anni di riproduzione isolata, di sviluppare ali con un’identica distribuzione dei colori? Alla domanda ha cercato di rispondere la ricerca di un team internazionale guidato da Riccardo Papa, docente del Dipartimento di Biologia della University of Puerto Rico e Visiting Professor all’Università di Parma (Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale).

“High level of novelty under the hood of convergent evolution” il titolo dello studio, appena pubblicato sulla rivista “Science”. Uno studio importante perché dimostra un aspetto di rilievo del meccanismo dell’evoluzione degli esseri viventi, applicato qui alle farfalle ma con implicazioni molto più generali.

Il lavoro di ricerca si è incentrato su due specie di farfalle del genere Heliconius (Heliconius erato e Heliconius melpomene) che nonostante una netta divergenza sono invece caratterizzate da colori e relativa distribuzione dei pigmenti praticamente indistinguibili una dall’altra, a indicare un’evoluzione palesemente convergente.

Lo studio ha utilizzato dati e analisi genomiche complesse (interi genomi di riferimento, genomi risequenziati in popolazioni, epigenomi, transcriptomi) per evidenziare che morfologie simili possono essere ottenute in modi molto distinti. È stata usata come modello di studio la “radiazione adattativa” (situazione simile alla diversità biologica utilizzata da Darwin per postulare la teoria della Evoluzione) delle farfalle del genere Heliconius, in cui specie distinte convergono su colori aposematici (“di avvertimento”) e “pattern” identici come risultato di selezione e adattamento.

Le ricercatrici e i ricercatori si sono chiesti se queste specie separate da 12 milioni di anni di riproduzione isolata usino la stessa architettura molecolare per ricreare colori delle ali indistinguibili, e se quindi alla base della loro somiglianza ci sia una stretta correlazione genetica. Quello che hanno trovato è stato sorprendente, perché a livello molecolare e soprattutto epigenetico (regolazione genica) le due specie hanno veramente poco in comune. I risultati mettono in risalto che l’evoluzione può ricreare gli stessi “pattern” di colori in maniera indipendente tramite un processo descritto come “developmental drift” (“deriva evolutiva dello sviluppo”): il numero e la sequenza dei geni tra le due specie sono gli stessi ma il modo con cui questi geni vengono regolati durante lo sviluppo è distinto, e l’evoluzione fenotipica avviene a livello di “editing” dell’informazione del “dove e quando” un gene debba essere espresso.

Questo vuol dire che mutazioni e differenze nella struttura del genoma (duplicazioni, delezioni e traslocazioni) che due specie accumulano dopo l’isolamento riproduttivo vengono riorganizzate a livello di sviluppo dell’organismo in maniera molto più complessa e distinta del previsto o descritto.  Questo processo di “assimilazione e riorganizzazione funzionale” è mediato durante lo sviluppo e l’evoluzione con l’utilizzo di vie alterne che possono però ricreare gli stessi fenotipi (manifestazioni “fisiche” di uno o più caratteri). In questo caso dunque si può proprio dire che “l’apparenza inganna”.

In maniera più ampia lo studio indica che la vita biologica ha infiniti modi di esprimersi e che l’evoluzione non è “determinista”. Sottolinea inoltre le incredibili potenzialità che la natura possiede, attraverso l’evoluzione, di relazioni molto distinte tra genotipo (la costituzione genetica di un individuo) e fenotipo (l’insieme dei tratti osservabili in un individuo, determinati anche dall’interazione tra genotipo e ambiente) per generare la diversità di strutture e forme di vita che ci circonda.

 

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